Numerosità codificata nella sottocorteccia umana

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 25 marzo 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Quando, nei primi anni dopo la fondazione della nostra società scientifica diffondevamo le nuove acquisizioni sulla base neurale delle abilità aritmetiche, ben pochi in Italia, anche fra i ricercatori, erano a conoscenza delle capacità di stima della numerosità e di calcolo degli animali - dalle specie aviarie ai primati - e dei lattanti della nostra specie. Al contrario, nei paesi di lingua inglese la notevole diffusione di saggi come The Number Sense di Stanislas Dehaene[1] e dell’informazione neuroscientifica presso ricercatori e comunicatori, aveva reso di comune dominio l’esistenza di due probabili processi per stimare il numero degli oggetti: uno basato su un principio funzionale che accomunerebbe animali e bambini in età molto precoce e l’altro collegato ad abilità cognitive esercitate nell’ambito della coscienza dichiarativa umana. In proposito, un articolo pubblicato con le “Note e Notizie” dello scorso anno, che si apre con una citazione dal “Menone” di Platone e ripercorre in sintesi le tappe della scoperta delle abilità aritmetiche dei bambini in età preverbale, fornisce una breve ma esaustiva trattazione introduttiva, alla quale si rimanda[2].

Lo studio delle basi neurali della capacità di riconoscere valori di numerosità ha rivelato una verità sorprendente: un pesce, quale la gambusia[3], e insetti come i ragni, nonostante l’assenza dei processi cognitivi di computazione tipicamente svolti dalla corteccia cerebrale dei primati, sono in grado di riconoscere e distinguere quantità relative.

Si è ipotizzato che un processo elementare non computazionale di stima della numerosità sia quasi universalmente presente fra le specie animali, con differenze di potere e di efficienza, ma sostanzialmente basato sugli stessi principi. Tale stima elementare della numerosità, che non richiede il nostro processo cognitivo corticale sequenziale del contare basato su numeri e numerazione, sarebbe un’antica eredità filogenetica altamente conservata nel corso dell’evoluzione e, pertanto, identica nella sostanza fra specie poco evolute nella scala zoologica e neonati della specie umana. Se la concezione sulla quale si basa tale ipotesi è corretta, la base neurale del processo elementare di valutazione che elabora le rappresentazioni neurali delle quantità, dovrebbe essere costituita da circuiti delle regioni del sistema nervoso centrale più conservate in chiave evoluzionistica.

Elliot Collins, Joonkoo Park e Marlene Behrmann hanno sottoposto a verifica sperimentale l’ipotesi che la valutazione delle quantità numeriche relative nella nostra specie sia garantita da strutture cerebrali di ordine inferiore e non da circuiti della neocorteccia.

(Collins E., et al. Numerosity representation is encoded in human subcortex. Proceedings of the National Academy of Sciences USA - Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1613982114, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychology, Center for the Neural Basis of Cognition, Carnegie-Mellon University, Pittsburgh, PA (USA); School of Medicine, University of Pittsburgh, Pittsburgh, PA (USA); Department of Psychological and Brain Sciences, University of Massachusetts, Amherst, MA (USA).

Come si diceva più sopra, la documentazione sperimentale al di là di ogni ragionevole dubbio della capacità di pesci e insetti, dopo ratti e piccioni, di operare stime relative di quantità è stata sorprendente.

La sensazione assoluta di sorpresa che si ebbe  al tempo dei primi esperimenti è stata poi mitigata dalla riflessione su altre abilità possedute da organismi inferiori: la capacità di segnalazione codificata e il riconoscimento del codice da parte degli insetti (linguaggio delle api), che riporta a proprietà espresse dalla materia biologica in forma di meccanismi già al livello molecolare[4], hanno fatto pensare ad un processo elementare diverso e strettamente connesso con la percezione.

La sorpresa, come spesso è stato notato dal nostro presidente, è motivata soprattutto dalla concezione comune della stima di quantità quale capacità di calcolo legata all’intelligenza umana. Gli esperimenti condotti sui mammiferi inferiori avevano già portato a formulare l’ipotesi dell’esistenza in questi animali di un processo che funziona come un accumulatore[5] che consente loro di stimare la numerosità come quantità ma non di computarne il numero esatto secondo la concezione matematica di calcolo e numero. Inoltre, era evidente nei ratti e in tutti gli altri animali studiati all’infuori dei primati, che i meccanismi in questione non erano dell’ordine dei processi astratti tipici delle operazioni mentali con le quali la nostra specie compie stime quantitative e risolve quesiti aritmetici.

A questi esperimenti si era giunti dopo che gli studi su primati subumani, iniziati con i pionieristici lavori di Tetsuro Matsuzawa nei quali lo scimpanzé Ai mostrava come gli esseri umani l’impiego di un conteggio sequenziale per stimare numerosità superiori a 3 o 4[6], avevano indicato la presenza di una modalità semplice e diretta per la stima delle piccole numerosità. Intanto, Irene Pepperberg dell’Università dell’Arizona, dopo un paziente lavoro durato 20 anni di addestramento linguistico del pappagallo cinerino Alex, era riuscita ad ottenere che l’uccello rispondesse correttamente a domante del tipo: “Quanti sono i gettoni rossi?”, davanti ad un vassoio contenente gettoni verdi, blu e rossi ed altri oggetti o gomitoli degli stessi colori[7].

Gli studi su un mammifero acquatico particolarmente intelligente come il delfino avevano preceduto la ricerca sulle abilità di stima quantitativa da parte delle specie ittiche. Dei delfini furono addestrati ad associare particolari oggetti ad uno specifico numero di pesci: dopo circa duemila prove diventavano capaci di selezionare fra due oggetti quello associato al numero più alto di pesci[8].

L’insieme degli studi sugli animali poteva portare ad almeno due diverse linee di ipotesi: l’esistenza di  numerosi meccanismi elementari distinti nelle varie taxa e specie animali o lo sviluppo di un tipo di processo sostanzialmente simile e altamente conservato. La seconda linea ipotetica è stata seguita dal maggior numero di ricercatori, che attualmente ritiene le stime quantitative innate, espresse da neonati e lattanti, effetto di attività di strutture encefaliche mediatrici di processi a basso livello di complessità e di lunga storia filogenetica.

Collins e colleghi, per verificare sperimentalmente questa ipotesi, hanno allestito quattro esperimenti con lo stesso paradigma (monocular/dichoptic paradigm), nei quali si dovevano fare stime quantitative di numerosità costituite da punti presentati su uno schermo, per insiemi di grandi dimensioni (5-80 punti) o di piccole dimensioni (da 1 a 4 punti).

Le prove sperimentali hanno dimostrato che la discriminazione è facilitata nelle porzioni monoculari subcorticali del sistema visivo. Tale risultato si riscontrava quando gli osservatori valutavano rapporti maggiori di 3:1 o 4:1, ma non per le ratio più piccole, ossia quelle prossime a 1:1. Questo profilo di competenza corrisponde in un modo molto stretto all’abilità con la quale i lattanti e gli animali delle varie specie indagate discriminano le quantità numeriche.

Nel complesso, i risultati di questo studio suggeriscono la conservazione, ontogenetica e filogenetica, di sistemi cerebrali di basso ordine di complessità per l’abilità degli adulti della nostra specie di stima delle quantità numeriche relative. Gli autori poi osservano che la mediazione da parte di strutture sottocorticali della rappresentazione di quantità numeriche induce una riconsiderazione delle teorie attuali sulle basi neurali della cognizione numerica, in rapporto alla continuità trans-specifica del sistema biologico dal quale dipendono tali abilità.

 

L’autore della nota ringrazia il dottor Lorenzo L. Borgia per la collaborazione e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

Roberto Colonna

BM&L-25 marzo 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

_____________________________________________________________________________________________________________________

 

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 



[1] Stanislas Dehaene, The Number Sense. How the Mind creates Mathematics. Penguin Books, New York 1999 (prima pubblicazione per conto della Oxford University Press negli USA, 1997).

[2] Note e Notizie 10-09-16 Concetti di quantità appresi in 31 lingue diverse.

[3] Genere di pesci Teleostei dell’Ordine dei Ciprinodonti, allevato spesso nelle acque stagnanti perché distrugge l’anofele; è detto in inglese mosquito-fish.

[4] Sintesi del DNA, sintesi delle proteine, legame antigene-anticorpo, ecc.

[5] La teoria dell’accumulatore è stata supportata dallo sviluppo di un rigoroso modello matematico, le cui equazioni predicono accuratamente le variazioni nel comportamento animale quali funzioni della dimensione del numero e della distanza numerica (Cfr. Stanislas Dehaene, op. cit., p. 30).

[6] Matsuzawa T., Use of numbers by a chimpanzee. Nature 315, 57-59, 1985.

[7] È opportuno ricordare, seguendo le relazioni del nostro presidente sull’intelligenza aviaria, che prima degli esperimenti di Cerella degli anni Ottanta sulle capacità dei piccioni di riconoscere sagome, forme e immagini, vi erano stati studi sulle abilità numeriche degli uccelli; risale addirittura agli inizi degli anni Cinquanta uno studio che fu accolto fra stupore e incredulità: Koehler O., The ability of birds to count. Bullettin of animal behavior 9, 41-45, 1951.

[8] Questi studi richiederebbero un commento a parte sullo sviluppo di abilità apprese per effetto di training intensivo.